2 ottobre 2012 – Venerdì 28 settembre le truppe del Kenya hanno conquistato la città portuale somala di Chisimaio, roccaforte delle milizie al-Shabaab. L’operazione, pianificata da tempo, sebbene ufficialmente congiunta e sotto la guida dell’Amisom, è stata in realtà condotta e gestita quasi esclusivamente dalle forze militari di Nairobi, che hanno impiegato un gran numero di unità terrestri e anfibie, due squadroni aerei e numerose unità navali.
Si conclude così un assedio iniziato quasi un anno fa.
Nell’ottobre 2011 le truppe kenyote entrano in territorio somalo per contrastare la presenza degli Shaabab, spingendosi fino alle porte di Chisimaio (circa 120 km dal confine). L’importanza della città sta nel porto, avamposto di traffici commerciali leciti (commercio di bestiame) e meno leciti (pirateria). Strappando Chisimaio ai miliziani, questi perderebbero la loro principale fonte di reddito.
Le truppe di Nairobi, coadiuvate da quelle del Governo Federale di Transizione somalo e dell’AMISOM, hanno registrato un successo di rilievo in maggio con la conquista delle città di Afgoye, Afmadow e Hayo. Da lì cominciano i primi bombardamenti sulla città, preludio di un assalto che l’esercito kenyota progetta di concludere entro tre mesi.
A metà agosto parte l’operazione
(qui tutti i dettagli http://invalid.invalid/-/1056/1477886/-/yi57le/-/index.html ).
Gli analisti si aspettano una vittoria, ma nel contempo iniziano a interrogarsi sul “dopo”. Il Gruppo di monitoraggio dell’ONU segnala un calo del numero di combattenti e mostra ottimismo. In realtà la situazione è meno favorevole di quanto appaia: la cattura di Chisimaio viene ostacolata per ragioni politiche (in particolare, a causa di controversie nei rapporti tra i clan locali).
Tutto viene rimandato a settembre (qui un’esauriente analisi sul campohttp://www.rusi.org/analysis/commentary/ref:C504724175C109/#.UG9SzlFYBGn ).
L’offensiva finale è partita lunedì 17 settembre, quando le forze kenyote hanno sconfitto gli Shabaab nei pressi di Birtha-der, circa 20 km da Chisimaio.
CSM segnala che i miliziani hanno già iniziato a spostarsi nelle zone rurali e nelle foreste (dove le vie di approvvigionamento sono più scarse) e nella regione del Puntland; scenario confermato da un rapporto (http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S%2F2012%2F544 ) del Gruppo di monitoraggio ONU.
Tuttavia gli scontri provocano una seria emergenza umanitaria
( http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5jKKP9BdJtZqMHuPIXTgKg5CbD8jw?docId=CNG.b3b8984e6ca358a5fb5ad834c29ef3b8.3d1 ) tra la popolazione.
Si arriva così alla presa di Chisimaio, nella mattina del 28 settembre.
La riuscita dell’operazione non deve lasciar andare a facili entusiasmi. Innanzitutto perché, più che una vittoria delle forze armate del Kenya, si è trattato di una ritirata tattica di al-Shabaab.
In secondo luogo, la capacità del Kenya di amministrare l’area è tutta da verificare: già il mese scorso l’analista Tres Thomas, esperto delle questioni del Corno d’Africa, aveva segnalato in un tweet la mancanza di piani adeguati per la gestione di Chisimaio in caso di conquista.
In terzo luogo, la guerra non è ancora finita: fin dalla presa di Afgoye l’analista Roland Marchal ricordava come nel 2006 al-Shabaab, dopo le sconfitte subite contro l’esercito etiope (la milizia non aveva i mezzi per affrontare un esercito regolare a viso aperto), è passata dalla guerra aperta alla guerriglia urbana, creando nuovi problemi all’esercito di Addis Abeba. Una strategia che potrebbe adottare oggi contro quello del Kenya.
Le prime avvisaglie di questo cambio di paradigma ci sono già.
Questa lunga e dettagliata analisi di Nicola Pedde su Limes
( http://temi.repubblica.it/limes/la-caduta-di-chisimayo-e-il-futuro-della-somalia/38558 ) (da leggere per intero perché riassume tutti gli aspetti nevralgici della questione) sostiene che ora il Kenya rischia di diventare la meta dei terroristi in rotta.
In questa logica si spiega l’attentato di domenica 30 settembre alla chiesa di Nairobi (http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2012/9/30/KENYA-Attentato-in-una-chiesa-di-Nairobi-ucciso-un-bambino-Molti-i-feriti/325112/yYOVNzjPhJzmA&sig2=wByT_tOOLLV5kSfp8MspWQ ).
Con la disfatta e lo sbando delle milizie islamiche in Somalia, il rischio è oggi quello di uno spostamento dei superstiti in direzione del Kenya. Non solo per vendicarsi del ruolo svolto dalle truppe di Nairobi in Somalia al fianco dell’Amisom, ma anche e soprattutto per trovare un rifugio dove poter riorganizzare le proprie forze.
Non sarà facile far transitare i resti delle unità ancora allo sbando attraverso la poderosa maglia di sicurezza messa in atto dal Kenya e dall’Amisom nel sud e nel centro della Somalia, ma le masse di profughi ancora in movimento nella regione e le comunità accampate a ridosso del confine potranno rappresentare un’ottima copertura.
L’obiettivo, quindi, è quello di raggiungere aree remote del Kenya settentrionale dove poter riorganizzare le forze e condurre azioni di razzia atte ad alimentare la logistica delle milizie, per poi condurre attentati soprattutto nelle aree urbane, dove l’impatto è alimentato dal ruolo della stampa.
È in questa logica che, presumibilmente, deve inserirsi l’attentato del 30 settembre a Nairobi contro la chiesa cristiano-evangelica di San Policarpo, quando una bomba a mano è stata lanciata in un locale attiguo alla chiesa, dove si svolgeva una lezione di catechismo per un gruppo di bambini. L’attentato ha provocato la morte di un bambino e il ferimento di altri quattro.